La fibrillazione atriale è una delle aritmie più difficili da trattare con i farmaci e l’unica alternativa alla terapia medica e ai suoi limiti è rappresentato dall'ablazione con radiofrequenza
E' risaputo che la fibrillazione atriale (d'ora in avanti FA) è l'aritmia di più facile riscontro nella pratica medica e che rappresenta una delle aritmie più difficili da trattare con i farmaci. Questa aritmia si associa ad un rischio di ictus cerebrale circa 5 volte più elevato rispetto a chi non la presenta e che è diventata un'importante problematica della società moderna, poichè l'incremento delle aspettative di vita ne ha decretato l'aumento nella popolazione generale.
L'unica alternativa alla terapia farmacologica della FA e ai suoi limiti è rappresentata dall'ablazione con radiofrequenza (ablazione con RF), intervento che và distinto nelle due forme:
- percutanea o transcatetere
- chirurgica classica o nelle sue varianti in minitoracotomia.
Entrambe hanno come obiettivo quello di eliminare completamente l'aritmia (anche se questo non è sempre possibile).
L'ablazione percutanea ha il suo punto di forza nella possibilità di attuare un intervento, comunque chirurgico, ma per via endoscopica, attraverso cioè le vene e senza utilizzo di bisturi. E' infatti tramite l'applicazione di calore trasmesso attraverso sonde chiamate cateteri che permette di eseguire millimetriche bruciature nella parte interna del cuore, tentando così di eliminare l'aritmia rispettando il corpo umano. Inoltre essa si basa sull'ausilio di sistemi di ricostruzione anatomica tridimensionale e di informazione dei segnali elettrici che permettono la massima precisione e la verifica degli obiettivi che l'intervento si pone.
La procedura chirurgica classica viene invece presa in considerazione solo se il paziente deve comunque essere sottoposto a chirurgia cardiaca per altri motivi (come nel caso di una sostituzione valvolare o di un bypass aorto-coronarico), poichè presenta il limite di essere eseguita senza la verifica del risultato mediante analisi dei segnali elettrici.
La si può poi considerare nella variante in minitoracotomia (ossia utilizzando un piccolo taglio sottomammario) se l'ablazione attraverso le vene ha fallito, soprattutto dopo più di un tentativo. Questa tecnica, che in passato è stata considerata come una terapia "da ultima spiaggia", sta prendendo sempre più spazio soprattutto nella forma ibrida. In quest'ultima associando in momenti diversi l'intervento per via percutanea a quello chirurgico minitoracotomico, permette di ottenere risultati migliori rispetto all'una o all'altra procedura da sole soprattutto in forme più complesse di FA, come quelle associate a dilatazione atriale sinistra importante.
Sicuramente i pazienti non più giovani, sebbene di età non troppo avanzata, con una fibrillazione del tipo "và e vieni" (tecnicamente detta parossistica), la quale può essere responsabile di sintomi di vario tipo (dalle classiche palpitazioni, all'affanno, alla stanchezza, al dolore toracico e finanche alla perdita di conoscenza) e questo nonostante l'assunzione di farmaci antiaritmici ma anche e soprattutto i soggetti di giovane età, con un cuore sano (o con una minima cardiopatia in fase iniziale) o che non vogliono assumere farmaci antiaritmici (potenzialmente inefficaci e con effetti collaterali).
In quest'ultimo caso si può ricorrere quindi all'ablazione senza la necessità di dover tentare prima una prevenzione degli episodi di FA mediante l'uso dei farmaci, terapia di 1° scelta. In entrambi i casi l'ablazione deve essere però eseguita da un operatore con un'adeguata esperienza e in un centro di alta qualificazione.
Poichè l'ablazione della FA è una procedura decisamente complessa e non sempre priva di rischi, i risultati positivi che si possono ottenere e il contenimento delle complicanze operatorie sono strettamente collegati all'esperienza dell'operatore e alla qualificazione del centro. E' per questo che un operatore viene considerato esperto in questo tipo di tecnica quando ha eseguito almeno 30 procedure con il supporto di un collega con esperienza e abbia eseguito almeno 10 punture transettali (la tecnica necessaria per operare nella camera atriale sinistra, sede della FA).
Per quanto riguarda i costi, il paziente non paga nulla poichè è una prestazione a rimborso operato dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e quindi viene eseguita in regime di ricovero ospedaliero della durata generalmente di 48 ore attraverso la richiesta del medico di base.
Se si considera la valutazione dal punto di vista del SSN, rispetto ai farmaci l'ablazione ha un costo maggiore (per la necessità di materiale specialistico, la disponibilità di una sala di elettrofisiologia ben attrezzata e l'impiego di personale medico, infermieristico e tecnico altamente qualificato). L'ablazione diventa però un aprocedura costo-efficace rispetto alla terapia con farmaci antiaritmici dopo un tempo variabile che va da 2 a 5 anni. Superato questo periodo, il costo iniziale della procedura si annulla e si ha solo un vantaggio economico rispetto ai farmaci.
L'approccio principale è l'isolamento elettrico delle vene polmonari. Infatti la tecnica si basa sul presupposto che nella grande maggioranza dei casi l'aritmia si genera all'interno delle 4 vene che portano sangue ossigenato dalla circolazione polmonare all'atrio sinistro (una delle 4 camere cardiache).
Le bruciature dell'ablazione hanno proprio lo scopo di confinare le alterazioni elettriche all'interno delle vene evitando che esse si propaghino all'atrio sinistro generando così la FA. Questo meccanismo si determina principalmente quando l'aritmia in questione si presenta nella forma "và e vieni", in soggetti di età giovanile e con cuore sano. Nei pazienti con FA "costantemente presente nel tempo" (o forma persistente) i meccanismi che generano la FA sono più complessi, cosicchè laddove isolare le vene nel primo caso è molto spesso sufficiente per ottenere un buon risultato, nel secondo può non bastare e richiedere un'ablazione più complessa e con minori possibilità di successo.
E' per questi motivi che, come abbiamo già sottolineato, solo in alcuni casi la procedura viene proposta come terapia di prima scelta. Inoltre non in tutti i pazienti si ottengono i medesimi risultati anche quando la procedura viene eseguita da mani esperte.
Tutti i pazienti con FA sia del tipo "và e vieni" sia del tipo "costantemente presente nel tempo almeno un mese prima della procedura devono iniziare o continuare la terapia anticoagulante orale. Fanno eccezione coloro che, nell'ultimo mese prima della procedura presentano un ritmo fisiologico stabile e sono a basso rischio di tromboembolia.
In genere se i pazienti in attesa di ablazione assumono farmaci antiaritmici, questi vanno sospesi per un tempo sufficientemente lungo al fine di evitare le loro interferenze sulla verifica finale dei risultati dell'interveno eseguito. Gi antiaritmici vengono poi spesos ripresi dopo l'intervento al fine di stabilizzare il sistema elettrico cardiaco e sospesi definitivamente in genere non prima di 3 mesi, in caso di successo della terapia interventistica. Analogamente la terapia anticoagulante orale viene confermata dopo l'ablazione e continuata almeno per 3 mesi; la sua sospensione definitiva dipenderà non solo dai risultati ablativi ma anche dal rischio tromboembolitico residuo di ciasun paziente trattato.
Nell'immediato pre-ablazione viene eseguito un ecocardiogramma del tipo transesofageo ma solo nei pazienti in FA o ad alto rischio tromboembolitico e non in tutti.
Come abbiamo già evidenziato i risultati sono legati ad una serie di variabili. Se consideriamo il paziente ideale la percentuale di successo, intesa come eliminazione completa della FA in assenza di terapia antiaritmica associata può superare anche l'80-90%, mentre nei casi meno ideali può essere compresa tra il 50% e il 70%. La percentuale, in particolare nelle forme complesse, può aumentare ulteriormente e avvicinarsi al 75-85% se consideriamo anche i risultati dei pazienti che continuano la terapia antiaritmica. Infatti un risultato positivo va considerato anche quelli di rendere efficaci i farmaci che prima dell'ablazione efficaci non erano. Infine va catalogato non come successo completo anche una riduzione importante del numero di episodi di FA dopo l'ablazione.
L'altra faccia della medaglia è rappresentata dal fatto che questi risultati non sempre si ottengono sottoponendo i pazienti a una singola procedura, anzi spesso è necessario effettuare più sessioni distanziate tra di loro, sebbene la tecnologia più recente tenda a ridurre questa necessità rispetto al passato. Inoltre và tenuto presente che, anche nelle mani più esperte possono verificarsi complicanze legate al tipo di procedura eseguita e non necessariamente all'operato di chi interviene. Si tratta quindi di un rischio intrinseco oggi attestato su valori compresi tra 1,5 e 4%.
Il modo in cui i pazienti vengono seguiti dopo una procedura di ablazione è decisamente importante. Un aspetto direi non secondario è quello dell'assunzione corretta degli anticoagulanti orali dopo la procedura.
La terapia anticoagulante và poi prescritta per tempi più limitati o assolutamente più lunghi in base al rischio tromboembolico residuo, calcolabile con la valutazione dello score di rischio CHA2DS2-Vasc. Questo indipendentemente dalla persistenza o dalla scomparsa dei sintomi che il paziente presentava prima dell'ablazione, poichè la stessa procedura può trasformare una FA da sintomatica in clinicamente silente, cioè non più avvertita dal paziente, non perchè eliminata, ma perchè resa non più evidente dal punto di vista soggettivo.
Questo significa che non ci si può affidare ai risultati delle indagini stadard dirette alla verifica delle recidive di FA per stabilire se l'aritmia è stata realmente eliminata e se quindi è possibile sospendere la terapia anticoagulante. Solo sistemi più sofisticati di registrazione elettrocardiografica come il cardiotelefono o ancor più l'impianto dei cosiddetti loop recorder (registratori della capacità funzionale di registrazione 24h/giorno per 3 anni) possono escludere episodi di FA silenti e quindi stabilire con più accuratezza il successo dell'ablazione e la necessità o meno di continuare la terapia anticoagulante.
L'ablazione della fibrillazione atriale oggi, a distanza di più di 20 anni dal suo ingresso nell'armamentario terapeutico dei cardiologi interventisti, è meglio codificata rispetto al passaato perchè presenta delle interessanti novità emerse da studi controllati condotti su larga scala. Queste novità sono importanti non solo per i pazienti, ma anche per i cardiologi non interventisti, che devono non solo conoscerle ma anche seriamente considerarle per poi proporle correttamente ai pazienti fibrillanti, dato che di solito sono loro che valutano se e quando inviare questi soggetti ai centri di elettrofisiologia specializzati in ablazione.