L'idronefrosi, termine utilizzato nel gergo medico, è una condizione riscontrata sempre più comunemente nei bambini. Vediamo nello specifico quando e come viene effettuata la diagnosi delle dilatazioni delle vie urinarie e in cosa consiste la terapia
Con l’impiego sempre più esteso dell’ecografia sia in epoca prenatale che postnatale, la diagnosi di dilatazione delle vie urinarie (idronefrosi) è diventata molto più frequente. In epoca prenatale la diagnosi di dilatazione delle vie urinarie viene effettuata in circa l’1-2% delle gravidanze. Di solito la dilatazione è diagnosticata verso la 21° settimana, ma non sono rari i casi osservati più tardivamente.
La valutazione ecografica prenatale dovrebbe includere: la quantità del liquido amniotico, la misurazione e la maturità del feto, l’identificazione del sesso, la localizzazione e l'identificazione delle anomalie dell’apparato misurando le dimensioni e l’ecostruttura dei reni, il volume e la dinamica vescicale, il diametro antero-posteriore della pelvi renale, la morfologia dei calici e degli ureteri.
E’, inoltre, essenziale esaminare attentamente gli altri organi ed apparati per valutare la presenza di eventuali altre malformazioni congenite. Elementi predittivi di prognosi funzionale sfavorevole sono la precocità della diagnosi, il grado da moderato a severo della dilatazione, la presenza di anomalie strutturali del rene, l’ispessimento delle pareti vescicali e la presenza di scarsa quantità di liquido amniotico.
E’ quindi importante osservare se sono presenti anche una dilatazione dei calici renali e delle anomalie del tessuto renale quali: iperecogenicità, presenza di cisti o microcisti, assottigliamento del tessuto renale o difetti di differenziazione del parenchima in quanto questi reperti ecografici indicano un danno del parenchima renale ed aggravano la prognosi della dilatazione per quanto concerne la funzione renale futura. Le dilatazioni pieliche possono essere classificate secondo diversi criteri; attualmente il sistema più usato in Europa è la misurazione del diametro antero-posteriore della pelvi. Negli Stati Uniti, invece le idronefrosi vengono classificate in 4 gradi a seconda del grado di dilatazione della pelvi renale, dei calici e lo spessore del tessuto renale. Recentemente è stata proposta una classificazione che considera, oltre al diametro A-P, anche la presenza di dilatazione caliciale, lo spessore parenchimale, l’aspetto ecografico del parenchima e le caratteristiche della vescica.
L’entità della dilatazione viene quindi valutata misurando il diametro antero-posteriore della pelvi renale in una sezione trasversa passante per l’ilo renale, di regola si considerano normali diametri antero-posteriori (DAP) sino a 5 mm nel secondo trimestre e sino a 10 mm a termine di gravidanza, anche se, ovviamente, si tratta di valori non assoluti. In genere, le dilatazioni osservate precocemente nel corso della gravidanza sono quelle che richiedono una maggiore attenzione dopo la nascita del neonato.
Le dilatazioni possono interessare uni o bilateralmente le alte vie urinarie (calici e bacinetto) o tutta la via urinaria “alta” (calici, bacinetto e uretere). Le forme più gravi sono di solito le ostruzioni congenite dell’uretra (quasi esclusive del maschio) che determinano danni spesso molto gravi e permanenti alla vescica, ai reni ed alle vie escretrici e che comportano un rischio elevato di insufficienza renale. La dilatazione isolata della pelvi renale è l’anomalia più comunemente osservata in gravidanza, con un’incidenza dell’ 1-5%.
In passato la terapia prenatale delle ostruzioni delle vie urinarie aveva sollevato molte speranze che, però, non si sono realizzate.
La terapia prenatale che consiste, solitamente, nell’inserimento di un tubicino che mette in comunicazione la vescica con la cavità amniotica (shunt vescico-amniotico) è indicata solo in alcuni casi di ostruzione sottovescicale, ma è stato dimostrato che il trattamento in utero non migliora la prognosi funzionale dei reni, ma talora migliora la maturazione dei polmoni. Nella quasi totalità dei casi la condotta della gravidanza non deve essere modificata e l’epoca del parto non va anticipata.
Dopo la nascita il neonato che abbia presentato, in qualunque momento della gravidanza, un DAP>10 mm deve essere valutato con un’ecografia postnatale, eseguita in un ambiente competente. La valutazione deve essere effettuata entro 24-48 ore dalla nascita se il sospetto è quello di una ostruzione dell’uretra, che può mettere a repentaglio la vita del paziente o di una dilatazione severa in un rene singolo
Se, viceversa si tratta di una dilatazione, anche di grado discreto, che interessa in modo isolato un segmento delle vie urinarie e se il neonato è in buone condizioni con una produzione di urina normale, la valutazione può essere rimandata anche di una o due settimane ed inizia con un’ecografia addominale che consente di confermare o meno la diagnosi prenatale e di fornire dettagli anatomici meglio definiti, rispetto alle ecografie prenatali. E’ meglio evitare di sottoporre il neonato ad un’ecografia appena nato, in quanto la fisiologica disidratazione postnatale di solito causa la sottovalutazione dell’entità della dilatazione.
Le indicazioni ad indagini successive sono state oggetto di una vivace discussione tra chi propone una valutazione completa per ogni bambino nato con una dilatazione significativa delle vie urinarie e chi propone, invece, un approccio più selettivo che è quello preferito da chi scrive.
Nel caso in cui sia evidente: una dilatazione, anche transitoria di uno o di due ureteri, un’idronefrosi severa (DAP>20 mm con dilatazione caliciale) o bilaterale oppure sia associato un ispessimento delle pareti vescicali è necessario sottoporre il bambino a cistouretrografia, esame che consiste nell’introdurre un sottile catetere nella vescica e nel riempirla con mezzo di contrasto per valutare la presenza o meno di un reflusso vescico-ureterale. Altri autori, invece, ritengono che qualunque neonato con una dilatazione della pelvi, indipendentemente dall’entità della dilatazione stessa, debba essere sottoposto a cistouretrografia, in quanto, in questi casi, l’incidenza di reflusso vescico ureterale è del 15-20% e la sua presenza è indipendente dall’entità della dilatazione pielica.
Le dilatazioni isolate della pelvi renale sono transitorie in circa il 70-80% dei casi, mentre nel restante 20-30% sono dovute ad un’ostruzione e, pertanto, possono richiedere un trattamento chirurgico per eliminare l’ostruzione. Qualora il reflusso sia stato escluso, il follow up successivo dipende dall’entità della dilatazione.
Se la dilatazione è moderata e cioè se il diametro AP della pelvi è inferiore a 15 mm senza dilatazione caliciale, o assottigliamento parenchimale i bambini vengono sottoposti ad una prima ecografia, seguita da una seconda a distanza di alcuni mesi e se la dilatazione tende a rimanere stabile o a migliorare, vengono, di solito rivalutati l’anno successivo. I casi con dilatazione di grado elevato, o con tendenza al peggioramento o sintomatici vengono, verso il secondo/terzo mese di vita, sottoposti ad una scintigrafia con mercapto acetil triglicina (MAG3) per una valutazione sia della funzione separata dei due reni, sia della velocità di escrezione dell’isotopo radioattivo che riflette, in modo approssimativo, il grado di ostruzione della via escretrice.
La scintigrafia renale dinamica consiste nel somministrare al bambino per via endovenosa un tracciante, cioè una sostanza (di solito MAG3) che è accoppiata con un isotopo radioattivo, il tecnezio 99. Il tracciante viene iniettato in vena mentre il bambino è disteso su un rilevatore di radioattività, una gamma camera, a sua volta collegato ad un computer che elabora i segnali ricevuti dalla gamma-camera e genera delle curve attività-tempo.
Il tracciante viene captato dai reni nei primi minuti dell’esame e successivamente escreto nelle vie urinarie ed eliminato con la minzione; per velocizzare l’escrezione si somministra, o prima o durante l’esame, un diuretico che consente di distinguere, entro certi limiti, le dilatazioni non ostruttive da quelle ostruttive. L’esame fornisce molte indicazioni per cui è diventato un strumento fondamentale nello studio delle dilatazioni delle vie urinarie. L’analisi della curva nei primi tre minuti permette di misurare la captazione separata da parte dei due reni che è proporzionale al flusso plasmatico renale e quindi consente una valutazione della funzione relativa dei due reni.
L’analisi dell’andamento della curva e della risposta al diuretico consente, in base alla velocità di dismissione del radioisotopo, di distinguere tra curve normali, curve tipiche di sistemi dilatati ma non ostruiti e sistemi francamente ostruiti.
Le indicazioni alla chirurgia disostruttiva devono tenere in debito conto tutti i parametri a cui abbiamo accennato. I bambini che presentano all’esordio un idronefrosi palpabile attraverso la parete addominale, soprattutto se si tratta di una idronefrosi sotto tensione, quelli che hanno un diametro antero-posteriore della pelvi > a 30 mm (in due ecografie distanziate di poche settimane) e che hanno, all’esordio, una riduzione della funzionalità percentuale al di sotto del 40% necessitano di un intervento disostruttivo immediato.
Tutti gli altri possono essere seguiti conservativamente, almeno per un certo periodo di tempo, indipendentemente dall’aspetto della curva di drenaggio. Il concetto che sta alla base del trattamento conservativo delle idronefrosi con funzione conservata è che se un’idronefrosi non ha determinato un danno funzionale durante la gravidanza è poco probabile che possa determinarlo in seguito se l’idronefrosi non tende al peggioramento, cioè ad incrementare le sue dimensioni. E’ quindi essenziale la misurazione precisa e scrupolosa del diametro antero-posteriore della pelvi renale.
E’ stato dimostrato da tempo che un elemento prognostico essenziale è il DAP durante la gravidanza ed alla prima misurazione neonatale, se è al di sotto dei 15 mm è raro che la funzione tenda a peggiorare mentre se è al di sopra dei 30 mm l’incidenza di danno renale è progressivamente maggiore.
Questi bambini con DAP superiore a 15 mm ma inferiore a 30 mm, che rappresentano la maggioranza dei pazienti affetti da idronefrosi congenita, vengono sottoposti a scintigrafia e successivamente seguiti con ecografie distanziate nel tempo, eseguite ad intervalli di 3 mesi nel primo anno, di 6 mesi nel secondo anno e successivamente, una volta all’anno. Un incremento del diametro osservato in due ecografie successive prelude, solitamente, ad un decadimento funzionale, per cui rappresenta la principale indicazione chirurgica durante il follow up. Una seconda indicazione è data dalla riduzione della funzione renale percentuale in misura >10% in due scintigrafie successive. In linea di massima possiamo affermare che circa il 20-25% di tutte le dilatazioni delle vie urinarie richiederanno una qualche forma di terapia chirurgica disostruttiva.
Nelle idronefrosi da ostruzione del giunto pielo-ureterale cioè del passaggio tra pelvi e uretere, la terapia chirurgica consiste nella pieloplastica secondo Anderson Hynes, intervento adottato universalmente in quanto scevro da complicanze e con una percentuale di successo superiore al 90%. Questo intervento può essere effettuato con un approccio tradizionale oppure laparoscopico o, scelta sempre più frequente negli ultimi anni, mediante un intervento assistito dal robot.