Negli ultimi anni si sono affermate tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva rivolta a categorie di pazienti particolarmente vulnerabili o a soggetti che preferiscono non assumere una terapia psicofarmacologica, parliamo di neurostimolazione
La depressione maggiore rappresenta un disturbo mentale estremamente invalidante che colpisce, ogni anno, circa 265 milioni di persone (OMS, dicembre 2019). E’ un disturbo psichiatrico ma che spesso si manifesta con sintomi fisici ed è altamente invalidante poiché è spesso responsabile di un netto peggioramento del funzionamento globale quotidiano e talora di eventi gravi e drammatici (rischio suicidiario).
La depressione maggiore colpisce uomini e donne con una lieve prevalenza per il genere femminile; è una patologia che può esordire nell’adolescenza (o talora in età infantile) e che ha un andamento cronico recidivante. Un trattamento corretto, sia medico sia psicologico, può garantire una completa remissione ed una riduzione delle recidive mantenendo la persona in una condizione di benessere persistente.
Nel mondo, ma anche in Italia, esiste una quota consistente di persone affette da disturbi della sfera depressiva che non giunge ad un percorso di cura corretto sia per la difficoltà nella diagnosi (spesso i sintomi sono sfumati ed ascrivibili a sintomi fisici) sia per lo stigma che ancora colpisce la psichiatria. Esiste una quota minoritaria ma non trascurabile di soggetti che scelgono invece, in maniera informata e ponderata, un trattamento non farmacologico che può essere di natura psicoterapeutica oppure di stimolazione cerebrale.
Una parte dei disturbi di spettro depressivo, soprattutto se di natura reattiva a contingenze esistenziali, risponde bene ad un trattamento psicologico o ad un trattamento integrato psicologico e psicofarmacologico; è intuitivo che più il disturbo ha caratteristiche di gravità e quindi una marca più biologica, più è necessario che il trattamento si avvalga di presidi che possano modulare l’attività neurobiologica.
Il trattamento farmacologico con antidepressivi (ne esistono più classi e molteplici molecole) permette una buona risposta clinica in una parte consistente dei pazienti trattati; la tollerabilità dei trattamenti oggi disponibili è complessivamente buona sebbene esista una quota di pazienti che mostrano un'alta sensibilità agli effetti secondari e che tendono quindi ad abbandonare precocemente i trattamenti. Negli ultimi anni si è posta anche maggiore attenzione agli effetti collaterali sul medio-lungo termine dei farmaci del sistema nervoso centrale ed esistono punti di vista molto contrastanti a riguardo.
Da alcuni anni si è affiancata la possibilità di trattare i disturbi dello spettro depressivo con tecniche di neurostimolazione non invasiva che mostrano profili di sicurezza estremamente elevata ed un ottimo profilo di efficacia. Spesso queste tecniche vengono erroneamente confuse con la terapia elettroconvulsivante-TEC (elettroshock nel gergo comune): questa metodica, peraltro estremamente sicura ed efficace in situazione di elevatissima gravità o rischio suicidiario, nulla ha a che vedere con metodiche quali la stimolazione magnetica trans-cranica (rTMS) o la stimolazione transcranica a corrente diretta continua (tDCS).
Queste metodiche (rTMS e tDCS) non hanno alcuna invasività, stimolano i sistemi neurobiologici dalla superficie del cranio e mostrano un profilo di collateralità estremamente sicuro e benigno.
La stimolazione magnetica trans-cranica si avvale di campi magnetici con cui può modulare (inibire o stimolare) alcune aree cerebrali coinvolte nei disturbi depressivi (ed anche in altri disturbi mentali, come accenneremo in seguito). La tDCS si avvale invece di basse tensioni di corrente applicate allo scalpo attraverso il posizionamento di una cuffia. Sono tecniche indolori, prive di disturbi soggettivi durante l’applicazione, e che mostrano un profilo di sicurezza elevatissimo. Prova di ciò, ad esempio, la possibilità di utilizzarle senza alcun rischio nelle donne in gravidanza o in allattamento o in soggetti nel neurosviluppo.
Il trattamento si costituisce normalmente di una serie di sedute quotidiane di breve durata (circa 20 minuti) che vengono ripetute per 20-30 giorni consecutivi e di differenti protocolli di mantenimento, a seconda dello specifico profilo della sindrome di ogni paziente.
Esistono apparecchi di prima e seconda generazione; in Italia sono disponibili in alcuni centri specialistici trattamenti con rTMS superficiale (I generazione) e di II generazione (rTMS deep o profonda); quest’ultima offre un profilo di neuromodulazione più profondo e verosimilmente più efficace, mantenendo il medesimo profilo di sicurezza.
Queste metodiche sono indicate anche in condizioni cliniche in cui la sola farmacoterapia oppure il trattamento integrato farmacologico e psicologico non è in grado di permettere una ripresa sufficiente di una buona qualità di vita; va ricordato infatti che esiste una quota di disturbi della sfera depressiva che tendono alla recidiva ed a profili di resistenza al di là di approcci di cura corretti.
E’ quindi importante che i pazienti affetti da questo tipo di sindrome possano avere la possibilità di accedere o scegliere liberamente questo approccio terapeutico da affiancare alle strategie di primo livello; è altrettanto importante che tali metodiche siano offerte a quella quota di pazienti che per propria scelta o per contingenze mediche è meglio non assumano farmaci del sistema nervoso centrale.
E’ importante ricordare che le tecniche di neurostimolazione sono efficaci e sicure anche in altre sindromi psichiatriche quali le dipendenze da sostanze/gioco, il disturbo bipolare, i disturbi d’ansia, il disturbo ossessivo-compulsivo e le sindromi dolorose croniche (es. fibromialgia) in cui la modulazione centrale del dolore può indurre notevole sollievo. Nuove frontiere di ricerca stanno coinvolgendo il trattamento sia dei disturbi del neurosviluppo (ADHD, spettro autistico) sia della neurodegenerazione (MCI, demenze).