Ecco una panoramica sulle difficoltà di comunicazione e comprensione tra genitori e figli durante il periodo dell'adolescenza
Spesso quando un genitore parla del figlio adolescente pronuncia la fatidica frase: “Non lo riconosco più! Questo non è mio figlio!". Questo avviene perché il/la ragazzo/a si trova in quel particolare momento della vita in cui sente di poter fare tutto, ma ci si sente frenati, non capiti, troppo avanti per potersi confrontare con due vecchi come i propri genitori. Ed è crisi!
Ma la crisi di per sé non è una cosa negativa o positiva, è un momento di cambiamento e come ogni cambiamento ci pone davanti a delle scelte. La parola crisi deriva da un verbo greco che significa “separare” e “decidere”.
Detto questo risulta abbastanza chiaro di cosa stiamo parlando. Noi siamo abituati a considerare i problemi solo dal nostro punto di vista e ci dimentichiamo di entrare in relazione con l’altro per cercare di capire cosa sta vivendo. Ci chiudiamo in maniera polemica, non disposti al confronto sulle nostre posizioni e non ascoltiamo l’altro.
Ma con uno figlio adolescente questo atteggiamento non paga, anzi…
L’adolescente fondamentalmente sta cercando di inserirsi in un mondo per il quale i vecchi schemi che possiede (sviluppati nell’infanzia) non risultano più adeguati. Ha dentro di sé ancora i bisogni di tenerezza, di protezione, di sostegno, di accudimento, ma spesso non lo può dimostrare, non sa più chiederlo senza sentirsi fuori luogo perché “ormai è grande”. Il genitore, dall’altro lato, per paura o per imbarazzo non riesce a leggere questi bisogni sotto il continuo opporsi a tutto e trovando davanti a sé quello che vede ancora come il suo bambino, ma in un corpo “nemico”.
Ciò aumenta nel ragazzo il senso di inadeguatezza, del tragico, il chiudersi alla possibilità di chiedere ciò di cui ha bisogno e verso la tenerezza. Si viene a creare un circolo vizioso che rende complessa la comunicazione tra coppia genitoriale e figli e figlie adolescenti.
Ma tutto questo non significa che l’adolescente sia inadatto al mondo, semplicemente deve adeguare le sue funzioni alle nuove richieste dell’ambiente.
Ed è a questo punto che il genitore deve sostenere il figlio e accompagnarlo attraverso un processo di maturazione che altro non è che l’espansione delle funzioni che il ragazzo possiede già ma deve solo “adeguare”. Non è un passaggio semplice neppure per i genitori che si trovano a gestire un rapporto al quale non sono preparati perché cambiano le modalità dei rapporti.
Cerchiamo di schematizzare il cambiamento che avviene in adolescenza:
Corpo in rapida crescita e aumento della forza fisica (cambiamenti nella concezione di sé rispetto a sé stesso e al prossimo), difficoltà dei genitori a rapportarsi con un corpo diverso e complicati i contatti.
I movimenti del corpo, soprattutto quelli ampi, si riducono (soprattutto nelle ragazze), mentre nei ragazzi diventano più composti e meno liberatori.
Le posture sono più chiuse e meno disinvolte, non ancora codificate come quelle degli adulti, ma non più infantili.
La voce tende (nei maschi) a cambiare così come il piano ormonale e la sessualità.
Elevata attenzione a tutto ciò che avviene dentro di lui, a discapito dell’esterno (espressione di svagatezza, distacco, pigrizia, ma non è così).
Elevata attenzione per comprendere il senso dei cambiamenti, un nuovo corpo, desideri impellenti, nuove sensazioni.
Grande spazio ai pensieri verso il nuovo, fantasie e immaginazioni vivide e intense.
Progettazione finalizzata all’immediato e al gruppo di pari.
I ricordi dell’infanzia diminuiscono e occupano spazio quelli più recenti perché più utili.
Valori e simboli, non stanno dietro ai cambiamenti repentini e si fa strada il dubbio terribile su se stessi e le proprie capacità.
Ansia nel gestire tutti questi cambiamenti, il ragazzo ricorre al pensiero magico (coincidenze, segni) a scapito della razionalità.
Innamoramenti rapidi e travolgenti, utili per portare l’affettività all’esterno della famiglia.
Senso di autonomia che prende la forma di opposizione a priori per mascherare fragilità e bisogno di sostegno.
La paura di non farcela da soli prende la forma di inadeguatezza, drammatizzazione di ciò che non va bene, fino a gesti estremi ed esagerati.
Non è strano dunque che si creino conflitti su ogni aspetto della vita del ragazzo (modo di vestire, ora del rientro, tempo libero, frequentazioni, ecc) e che porta ad una guerriglia quotidiana. Ma il conflitto può trasformarsi in un momento funzionale quando ha luogo in un ambiente di coesione, di disponibilità all’ascolto, di apertura da entrambe le parti perché permette l’espressione dei diversi punti di vista degli attori coinvolti. Solo così si rende possibile una negoziazione dell’oggetto di disaccordo.
Il gruppo di pari assume sempre più importanza perché ha la funzione di rendere indipendente il ragazzo dalla famiglia, di fargli sperimentare nuove tipologie di relazione e di vivere nuove modalità di rapporto. Questa nuova modalità relazionale sperimentata dall’adolescente lo supporta, protegge e indirizza, dandogli la consapevolezza di non essere il solo a vivere tali sensazioni e tali turbamenti.
Inoltre il gruppo permette di vivere un senso di appartenenza ad una realtà conformante, in cui tutti hanno lo stesso aspetto, o ad esso aspirano, lo stesso linguaggio e gli stessi desideri e rifiuti. Tutto questo chiaramente può avere risvolti sia positivi che negativi, portando il ragazzo e la ragazza a cercare la propria strada sulla base della morale e dell’educazione fino a quel momento assorbito in famiglia.
Anche per i genitori non è un momento semplice. Si trovano davanti una persona che faticano a gestire. Riconoscono i tratti del loro bambino, ma non ne capiscono più le dinamiche ed i ragionamenti. Dall’essere riferimenti indiscussi si trovano ad essere trattati con distacco e freddezza, non più ascoltati e il conflitto si apre. La difficoltà risiede nell’adattarsi ai cambiamenti repentini tipici dell’adolescenza.
Bisogna saper lasciare andare ma al contempo mantenere una relazione adeguata per accogliere le richieste, non più dirette e chiare, di affetto e contenimento, rimanere fermi sulle proprie posizioni educative considerando le nuove esigenze dei figli.
Quindi non si deve considerare un periodo patologico, ma di cambiamenti. Un periodo che richiede impegno e apertura al dialogo. La capacità di gestire la frustrazione e i rifiuti viene messa a dura prova e i genitori si trovano a dover affrontare anche temi che mai avevano considerato. In questo caso non bisogna chiudersi sulle proprie convinzioni, ma dialogare con i figli e le figlie anche con l’umiltà di dire “questa cosa non la so, posso informarmi e ne riparliamo”.
Questo farà sì che il ragazzo non si senta il solo a non sapere, che il dialogo è possibile e soprattutto che il genitore c’è anche se non condivide alcune sue posizioni.
Essere genitore non è facile, nessuno offre un manuale di istruzioni insieme al cucciolo quando arriva. Ma in effetti è proprio questa l’avventura più bella.